Nella cittadina di un’isola immersa nel mar Mediterraneo, c’era un bambino un po’ particolare di nome Matteo che viveva assieme a sua madre, perché il padre li aveva abbandonati sin da quando lui era piccolo. Matteo non aveva mai avuto dei veri amici perché era molto timido e faceva fatica a stare insieme agli altri.

Una mattina, mentre andava a scuola, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi di essere più socievole per uscire dal suo isolamento che incominciava a pesargli. Quindi entrò nella sua classe e cercò di stringere amicizia con i suoi compagni ma questi, che lo avevano sempre considerato un musone taciturno, lo prendevano in giro. Durante la ricreazione però, il suo compagno di banco Luca si avvicinò e cercò di consolarlo. Incominciarono così a parlare e a conoscersi.

All’uscita di scuola, i due nuovi amici presero insieme la strada verso casa quando vennero presi di mira da un gruppo di ragazzi più grandi; si trattava dei classici bulli che si divertono a tormentare chi appare più fragile e debole di loro. Spesso avevano infastidito Matteo proprio perché lo vedevano sempre solo; una volta gli avevano anche rubato il cellulare e il ragazzo aveva dovuto giustificarsi con la madre dicendo che l’aveva perso.

“Ueh, marmocchio, abbiamo fatto amicizia vedo!”, disse quello che sembrava il capo, rivolgendosi a Matteo. “Abbiamo trovato un altro sfigato come te con il quale divertirci!”

I due ragazzini cercarono di allontanarsi ma i bulli sbarravano loro la strada.

“Sapete? Stanotte si pensava di fare una simpatica escursione all’ospedale abbandonato fuori città, che dite? Ci piacerebbe proprio farvelo esplorare!” E tutti i bulli si misero a ridere.

“Si dice che le sue stanze siano infestate dagli spiriti dei pazienti che sono morti lì dentro: sarebbe interessante verificare no? Vi aspettiamo vicino al cancello d’ingresso a mezzanotte e cercate di essere puntuali: sappiamo dove abitate e se non vi presentate vi veniamo a cercare!”

Quando riuscirono finalmente a liberarsi da quei ragazzacci, Luca e Matteo si chiesero impauriti cosa fare; alla fine Luca disse: “Senti, se non ci presentiamo, questi continueranno a tormentarci! Se invece dimostriamo coraggio, magari ci lasceranno in pace e poi, adesso siamo in due, ci aiuteremo a vicenda!”.

E così si diedero appuntamento fuori dall’ospedale qualche minuto prima della mezzanotte.

Matteo tornò a casa e non disse niente alla madre di ciò che gli era successo durante la mattina; mangiò e si chiuse in camera per il resto della giornata. La notte si preparò per uscire; prese con sé uno zaino con un coltellino e una mazza, si calò giù dalla finestra e, pedalando veloce sulla sua bici, si recò al luogo dell’appuntamento dove trovò Luca e il gruppo di bulli che già lo aspettavano.

Era una notte tempestosa; Matteo aveva molta paura, ma era arrivato il momento di entrare.

L’ospedale aveva tante stanze e ovunque si vedevano tracce di sangue; i letti, gli arredi, i macchinari erano stati distrutti e si sentivano rumori, tanti rumori, forse provocati dal vento che non smetteva di soffiare fortissimo. Incominciarono quindi a girare per i corridoi e i locali della clinica ma oltre alle inquietanti macchie di sangue, non videro altro.

Ad un certo punto si trovarono davanti alla sala operatoria dove erano stati fatti tanti trapianti di organi; i ragazzi più grandi spinsero le porte per entrare ma non fecero in tempo neppure ad affacciarsi che una voce fredda e lugubre gridò: “Che volete? Andate via da qui se non volete restarci per sempre!”

Tutti scapparono terrorizzati; Matteo, il più piccolo del gruppo, era talmente spaventato che rimase fermo, impietrito dalla paura.

Piano piano si avvicinò verso di lui un essere evanescente che aveva le sembianze di un vecchio.

“Che ci fai qui ragazzo?”, gli chiese il fantasma.

“Mi perdoni signore, non volevamo far niente di male, solo esplorare l’ospedale”, rispose Matteo balbettando.

“Bell’idea per passare la serata! Non vi hanno insegnato ad aver rispetto dei morti?”

“Non pensavo che ci fossero dei morti qui, signore!” Cercò di difendersi il bambino, ma la curiosità alla fine ebbe il sopravvento sulla paura e chiese:

“Come mai lei si trova qui? Cosa le è successo?”

L’essere evanescente con uno sguardo colmo di dolore guardò Matteo e incominciò a raccontare la sua storia. Era un marinaio che, partito dal porto di Napoli, navigava con il suo peschereccio lungo le coste della Sardegna. Venne sorpreso da una tempesta e, a causa delle onde altissime, cadde e batté forte la testa. Quando riprese i sensi, riuscì a chiamare i soccorsi che vennero a prenderlo con un elicottero e lo portarono in quell’ospedale. Ma i medici, che avrebbero dovuto curarlo, lo trascurarono e lui morì tra atroci sofferenze nel giro di pochi giorni.

“Ecco perché continuo a vagare senza pace in questo posto infernale! Ma tu, ora, puoi liberarmi! Se ti uccido, tu prenderai il mio posto e io finalmente potrò riposare.”

A quelle parole Matteo quasi impazzì per il terrore e si mise a correre con tutte le forze che gli rimanevano. Si accorse che aveva ancora con sé il cellulare e fece il numero di Luca.

“Luca dove sei? Perché mi hai lasciato solo? Ti prego, aiutami ad uscire da qui!”

Ma il fantasma del vecchio marinaio lo raggiunse e lo trascinò con sé nella sala operatoria. A niente servirono i pianti e le urla di Matteo: il morto-vivente lo legò ad un lettino e con un bisturi incominciò a praticargli dei tagli per farlo morire dissanguato.

Il povero ragazzo ormai aveva perso ogni speranza di uscire vivo dall’ospedale abbandonato quando, alle spalle del marinaio, vide avvicinarsi lentamente Luca con una piccola bottiglia in mano.

“Lascia stare il mio amico, zombie maledetto!”, urlò Luca e lanciò addosso al fantasma tutto il liquido contenuto nella boccetta.

Il marinaio, raggiunto da quella che altro non era che acqua benedetta, con un urlo terribile si dissolse.

Luca allora liberò Matteo se lo caricò sulle spalle e insieme tornarono a casa.

Quando la madre vide in che condizioni era ridotto il suo bambino, chiamò subito un’ambulanza ma Matteo chiese alla madre di non mandarlo in ospedale e di fare in modo che venisse curato a casa.

Il medico del pronto intervento, rendendosi conto del forte shock del ragazzo, rimandò indietro l’ambulanza e si prese personalmente cura di Matteo.

Dopo qualche settimana, grazie anche all’affetto e alla compagnia di Luca, Matteo guarì ma decise di non tornare mai più nei posti abbandonati.