Nell’antichità durante le guerre i vincitori non ottenevano solo la vittoria ma anche un ricco bottino [1] e degli schiavi. [2]

Durante la guerra di Troia, in una delle numerose battaglie combattute, Achille fece sua schiava BRISEIDE, una giovinetta bellissima con le guance rosee e gli occhi lucenti. Agamennone invece, il fratello di Menelao re di Sparta, ebbe CRISEIDE, la figlia di un sacerdote del dio Apollo che si chiamava Crise. I due re, Achille e Agamennone, furono molto contenti di avere delle schiave così belle, le accolsero gentilmente, le portarono sulle loro navi e le condussero a Troia. Infatti non avevano ancora terminato la guerra, volevano riavere Elena e restituirla a suo marito Menelao.

Ma Crise, il padre di Criseide,provò un dolore terribile quando seppe che sua figlia era stata portata via dagli Achei. Pianse, si disperò, ma poi pensò che piangere non serve a nulla e tentò di farsi ridare Criseide.

Riunì dunque le cose più preziose che possedeva e andò alle navi dei nemici portando così molti oggetti d’oro e di argento, di rame e d’avorio, e stoffe magnifiche. E quando fu presso alle navi, domandò di parlare coi generali. – gli dei vi facciano vincere, o Achei dalle belle armi – disse Crise – Ma restituitemi mia figlia e ricevete in cambio i tesori che vi porto. Sono un sacerdote di Apollo, dio del sole, e Apollo sarà buono con voi se voi sarete buoni con me.

Tutti i Greci gridarono: - Crise ha ragione: dobbiamo restituirgli subito sua figlia.

Ma Agamennone si alzò in piedi arrabbiato e urlò: - Vattene, o Crise, e non venire più alla mia presenza perché io non ti restituirò tua figlia; anzi la porterò con me a Micene nel mio palazzo, e finché sarà vecchia, tua figlia lavorerà per me e mi servirà. Ma tu vattene,e non dire più nemmeno una parola, se vuoi tornartene via sano e salvo.

Così disse Agamennone; e Crise impaurito obbedì. Andò lontano, solo, in silenzio,sulla riva del mare. E quando fu lontano, solo sulla riva del mare, Crise pregò Apollo, dio del sole, che venisse a punire il re Agamennone generale dei Greci e re di Micene.

Apollo ascoltò la preghiera di Crise e discese dall’Olimpo per punire Agamennnone. Aveva sulle spalle un arco d’argento, portava con sé delle frecce d’argento, e veniva avanti nnero come la notte. Sedette sopra un monte di fronte alle navi dei Greci,prese in mano l’arco, cominciò a tirar frecce, a uccidere muli e cavalli e uomini; e per nove giorni uccise continuamente muli e cavalli e uomini. E per nove giorni si videro grandi fuochi e fumo alto nel campo degli Achei; perché gli antichi Greci, quando uno moriva lo mettevano sopra una pira, un mucchio di legna e lo bruciavano.

Quando furono passati nove giorni, e i morti diventarono numerosi ogni giorno sempre di più, Achille riunì i generali.

_ Agamennone figlio d’Atreo, - disse Achille – io penso che sarebbe meglio tornare a casa, perché se andiamo avanti così nessuno di noi resterà più vivo. Ma interroghiamo un indovino e facciamoci dire da lui perché Febo è tanto in collera con noi, domandiamogli cosa dobbiamo fare.

Tutti applaudirono Achille, e l’indovino Calcante si alzò. – Io parlerò , Achille, se tu lo comandi. Ma uno dei re che sono qui andrà in collera e si irriterà contro di me; lo so di certo.

-Nessuno andrà in collera e nessuno si irriterà contro di te: nessuno ti farà del male, te lo prometto io! – rispose Achille. – Io ti difenderò contro chiunque.

Allora Calcante parlò. – Crise, il sacerdote di Apollo dio del sole, è stato trattato male dai Greci. Per questo Febo Apollo è in collera (cioè è arrabbiato) con noi, e continuerà a uccidere bestie e persone, finché non avremo restituito al suo sacerdote, Crise, la schiava Criseide, sua figlia. E non dobbiamo solo restituire Criseide, ma dobbiamo farlo generosamente, senza volere nulla in cambio.

-Senza volere nulla in cambio? – urlò Agamennone alzandosi pieno di rabbia, con gli occhi che sembravano due carboni accesi. – Ah, io non devo avere nulla in cambio di Criseide? Vero, maligno Calcante? Sei sempre pronto a pensare e a dire cose cattive contro di me! Ma non importa, restituirò la mia schiava a Crise perché tu dici che, per colpa mia,i nostri guerrieri muoiono. Voi, però, preparatemi subito in cambio qualche cosa di molto valore, perché non è giusto che voi abbiate tutti qualche premio e io resti senza nulla.

- O Agamennone famosissimo, o Agamennone avarissimo, - rispose Achille – tu domandi un compenso, ma come mai potremo dartelo? Ciò che abbiamo preso in guerra è stato diviso, e non sarbbe giusto riunire ogni cosa per rifare la divisione.

- Voi mi darete un compenso – gridò il re Agamennone sempre più infuriato.- e se non me lo darete voi, allora ci penserò dame! Prenderò la schiava di Aiace, o quella di Ulisse, o forse anche la tua,prepotentissimo Achille! Ma a queste cose penseremo poi. Ora andiamo,mettiamo in mare una nave,facciamoci montare sopra la bella Criseide, e uno di voi, o generali, vada ad accompagnare la mia schiava da suo padre. Ma Achille figlio di Peleo guardò Agamennone di traverso, e poi rispose: - O insolentissimo, o avarissimo uomo, come mai anche uno solo dei nostri guerrieri si degnerà di obbedirti? Io non sono venuto qui a combattere per conto mio: i Troiani a me non hanno rubato mai né buoi né cavalli né donne, e non hanno mai fatto da padroni nel mio paese. Sono venuto qui solo per fare un piacere a te, o uomo dallo sguardo di cane, a te e a tuo fratello. Allora io qui non ci resto più ma me ne vado a Ftia, nel mio paese, con le mie navi.

Così Agamennone ed Achille si azzuffavano e il re dei generali, Agamennone, disse: - Vattene, pure, o Achille; che cosa m’importa di te? Io qui ho tanti eroi, re e principi, quindi posso fare anche a meno di Achillle, figlio di Peleo! Ma perché tu capisca bene che qui conto più di te, appena Criseide sarà tornata da suo padre, verrò nella tua tenda e mi prenderò la tua schiava Briseide. E così qui tutti si convinceranno che qui comando io, e nessuno avrà più il coraggio di parlarmi come mi hai parlato tu ora.

A queste parole Achille si infuriò, e avrebbe preso la spada per gettarsi su Agamennone, se Pallade Atena non lo avesse trattenuto. Poi Achille lasciò l’assemblea. Agamennone non andò lui a prendere Briseide ma mandò due araldi messaggeri che gridavano a gran voce le notizie. Andarono nella tenda di Achille e non parlarono, lui diede loro la sua schiava e non disse niente.

Achille restò nella sua tenda e pianse, non tornò a combattere, lasciava che i soldati morissero in tanti nella guerra.

Dunque Agamennone si pentì amaramente di aver offeso Achille, l’eroe più forte dell’esercito greco e la guerra continuava a trascinarsi e a non finire mai.