La Resistenza

Il nazismo, al momento della sua massima espansione, verso la fine del 1942, occupava gran parte dell’Europa. Ovunque i nazisti ricorsero a violenze e crudeltà per dominare le popolazioni dei Paesi occupati.

Con i rastrellamenti strapparono alle loro terre milioni di uomini, che consideravano schiavi, e li deportarono a migliaia di chilometri di distanza per farli lavorare nelle fabbriche tedesche dove si producevano armamenti. Quando le popolazioni non obbedivano ciecamente, subivano le rappresaglie, cioè punizioni che includevano l’uccisione di ostaggi civili.

Rastrellamenti, deportazioni, rappresaglie e stermini di massa furono i metodi che i nazisti applicarono per dominare l’Europa e che spinsero milioni di persone ad unirsi nei movimenti di liberazione per combattere clandestinamente gli invasori e per riconquistare la libertà.

In Polonia, in Russia, in Jugoslavia, in Francia, in Italia, questi movimenti antinazisti ed antifascisti formati dai partigiani, presero il nome di Resistenza e furono un aspetto specifico e particolare della seconda guerra mondiale.

I partigiani intralciavano le operazioni militari delle truppe dell’Asse, facevano sabotaggi ad impianti bellici e in molti casi giunsero a liberare intere regioni prima dell’arrivo degli eserciti alleati.

La Resistenza fu un fenomeno complesso, dagli aspetti molteplici.

A lottare contro il dominio nazista furono uomini di tutte le estrazioni sociali, in maggioranza operai e contadini ma anche borghesi.

I tedeschi ed i governi che con loro collaboravano, risposero ovunque con illimitata ferocia.

La Resistenza in Europa agì nelle città, nelle campagne, sulle montagne.

Cominciò nel Paese che per primo fu vittima della guerra, la Polonia. Fra gli episodi della Resistenza polacca è da ricordare la rivolta dei giovani ebrei del ghetto di Varsavia nell’aprile 1943, la cui repressione da parte dei nazisti portò alla distruzione dell’intero quartiere e allo sterminio dei combattenti.

Il movimento della Resistenza in Italia nacque in seguito al crollo del fascismo, ed ebbe ovviamente il suo massimo sviluppo nell’Italia del nord, ed in secondo luogo nell’Italia centrale, zone controllate dalle forze nazifasciste e non ancora liberate dall’avanzata angloamericana.

In Italia le formazioni partigiane che diedero vita alla Resistenza italiana erano costituite, innanzi tutto, da quei soldati che l’otto settembre 1943 avevano lasciato l’esercito, oramai allo sbando, e si erano rifugiati in luoghi più sicuri, spesso in montagna.

Insieme con loro, vi erano piccoli gruppi di persone che già da tempo si opponevano al fascismo in modo clandestino, per esempio stampando giornali o volantini di propaganda contraria al regime ed intellettuali.

Presto ai primi partigiani si unirono anche parecchi giovani, che rifiutarono la chiamata di leva della Repubblica di Salò.

Si trattava insomma di persone di differenti categorie sociali e di diversa provenienza, che si trovavano a condividere una nuova vita di pericolo e di precarietà.

Per prima cosa dovettero affrontare le esigenze della vita quotidiana (nutrirsi, ripararsi dal freddo, riposare, curarsi) spesso con pochi mezzi e molta improvvisazione.

Scrive lo storico Gianni Oliva a proposito degli accampamenti di montagna della Val Sangone, in Piemonte:

“ Se l’osservatore avesse visitato gli accampamenti di montagna, avrebbe colto la stessa vivacità multiforme della piazza del paese: tende da campo con i paletti di legno sporgenti, baite trasformate in depositi, biancheria stesa sui rami ad asciugare, grandi marmitte con l’acqua bollente; e, ancora, partigiani di sentinella, altri intenti a pulire le armi, altri a trasportare viveri; alcuni addormentati sulla paglia, altri seduti nel prato a giocare a carte; forse anche qualcuno, più raro, con il libro in mano.”

(da Vinti e liberati)

Il metodo di lotta adottato dai partigiani fu quello della guerriglia: attacchi improvvisi, azioni di sabotaggio e di disturbo, attentati.

Ad esempio venivano fatti saltare i binari ferroviari o i ponti per interrompere i convogli militari e rendere più difficili i collegamenti alle truppe tedesche e a quelle dell’esercito di Salò, si rubavano armi e munizioni nei depositi nemici, si catturavano fascisti.

I nazifascisti rispondevano con spietate rappresaglie, spesso anche contro la popolazione civile.

La gente comune per lo più aiutò i partigiani o, quantomeno, non collaborò con i nazifascisti che davano loro la caccia.

Le rappresaglie avevano lo scopo di terrorizzare la popolazione e dissuaderla dal dare copertura alla bande.

Così interi paesi vennero bruciati e gli abitanti torturati ed uccisi.

La strage più tremenda avvenne a Marzabotto, in Emilia, dove furono massacrate circa ottocento persone, tra le quali vecchi e bambini.

Le prime azioni dei gruppi partigiani, che si muovevano in formazioni poco organizzate ma molto motivate a lottare per la libertà, nelle vallate e nelle strade delle città, vennero condotte in modo spesso casuale, per esempio andando a recuperare le armi nella caserme abbandonate dall’esercito.

In seguito le bande partigiane si organizzarono sia politicamente sia militarmente.

Si formarono così le Brigate Garibaldi, le più numerose, di ispirazione per lo più comunista; le Brigate di Giustizia e Libertà (GL), un movimento antifascista che cercava di conciliare liberalismo e socialismo; le Brigate Matteotti, legate ai socialisti.

Vi erano poi gruppi di ispirazione cattolica, liberale e monarchica.

Tutte queste formazioni erano coordinate dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), che si era costituito a Roma il giorno stesso dell’armistizio.

I partigiani facevano agguati contro le pattuglie tedesche e attentati contro gli alti ufficiali e i capetti della Repubblica di Salò, i gerarchi.

Sostennero scontri a fuoco contro le truppe che Mussolini aveva reclutato e contro i repubblichini fascisti, fecero atti di sabotaggio contro le fabbriche che producevano armi e si scambiavano informazioni grazie alle staffette partigiane, quasi sempre donne.

Le rappresaglie naziste contro i civili inermi italiani provocarono più di quattrocento episodi di devastazioni, e 15.000 morti.

Il 16 settembre 1943 a Boves, un piccolo paese nei pressi di Cuneo, un gruppo di soldati e di antifascisti prese prigionieri due militari tedeschi.

Il giorno dopo furono rilasciati, su richiesta del comando nazista. Malgrado ciò, i tedeschi appiccarono fuoco al paese ed uccisero senza motivo ventisei persone.

Un altro durissimo episodio della storia della Resistenza avvenne a Marzabotto, dove 1830 persone furono trucidate dai tedeschi al comando del maggiore Walter Reder.

Il 23 marzo 1944 in un attentato in via Rasella a Roma furono uccise trentadue SS.

La vendetta fu spietata: Herbert Kappler, il capo dei nazisti, fece fucilare 335 italiani inermi preso le cave di via Ardeatina, da quel momento note come Fosse ardeatine.

A guerra finita, gran parte dei processi contro i responsabili di quelle stragi furono insabbiati.

Questa lotta armata combattuta da Italiani contro Italiani assunse l’aspetto di una lacerante guerra civile che provocò complessivamente 70.000 vittime.

Le azioni partigiane furono molto importanti. Dal punto di vista militare, mantennero i tedeschi in continuo stato di allerta e li costrinsero a dispiegare grandi forze in Italia, distogliendole da altri fronti.

Infatti ottennero il sostegno ed il riconoscimento degli alleati. Dal punto di vista morale, costituirono il riscatto degli italiani, capaci di combattere con eroismo e di morire per un ideale di libertà, come accadde a tanti partigiani, trucidati dai nazisti con la complicità dei fascisti.4

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