cap. 6 Ci sarà un altro omicidio

Viene assegnato alla stessa classe che ha fatto il precedente capitolo poiché la classe precedente non è riuscita a completare la prova n.4 in tempi utili.

Dente e il suo collega si guardarono a vicenda con aria perplessa. Era chiaro che il memoriale doveva avere un ruolo nella catena di omicidi compiuti, ma non forniva risposte chiare. Dente prese il suo blocco note e lesse i punti della sua sintesi.

Le vittime sono ebree
I cadaveri sono stati ritrovati a Berlino in luoghi che sono i vertici di una stella di David
Ogni vertice ha coordinate che, su una mappa, indicano punti di Berlino ben precisi (nei primi tre sono stati rinvenuti i cadaveri del caso)
Ogni omicidio, finora, è stato compiuto a distanza di 7 giorni.

Si fermò e con la penna tracciò sul foglio una freccia che puntava a un bordo e scrisse: tutto ciò porta a una prima deduzione: ogni punto della stella di David disegnata sul foglietto trovato in tasca al sig. Evans potrebbe essere un posto dove ritrovare cadaveri; se questo fosse vero, si potrebbe aggiungere che la sequenza temporale degli omicidi è di sette giorni l’uno dall’altro. Quindi, in teoria, si conoscono i luoghi dove, a distanza di 7 giorni dall’omicidio di Evans, sarà ritrovato un nuovo cadavere. Elementi da considerare: stella di David – vittime ebree – 7 giorni come i 7 bracci della menorah (candelabro ebraico). Un serial killer spinto dall’odio verso gli ebrei?

Mise con forza il punto interrogativo sulla nota scritta e continuò con la sequenza.

Tutte le vittime sono legate tra loro da un memoriale scritto dai loro avi
Il memoriale narra una storia di sterminio di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale (si parla di Riga e di Rumbula)
Nel memoriale si denunciano due donne come causa dello sterminio (spie tedesche). Si fanno nomi e si narrano eventi.

Si fermò di nuovo e ad alta voce ripeté un suo pensiero: “che c’entra questo memoriale con un serial killer… eppure deve esserci un nesso!”

Che rebus! Il collega di Dente si alzò dalla poltroncina posta vicino alla finestra, in un angolo della camera dell’albergo. Si stiracchiò e prese il suo cappotto. La giornata era stata lunga e densa di novità. Ora, però, la stanchezza stava prendendo il sopravvento. I due colleghi si congedarono dandosi appuntamento per la mattina dopo in commissariato. Dente si rimise sdraiato sul letto, accese la debole luce dell’abatjour sul comodino e fissò il soffitto pensieroso.

Erano le sette del mattino quando si svegliò di soprassalto. Il profumo dei cornetti caldi proveniente dal corridoio gli fece ricordare che non aveva cenato la sera prima.

Alle nove era già al commissariato.

Era il terzo giorno che Dente si trovava a Berlino e la priorità di quella mattina, per lui e per il suo amico, era quella di dar seguito alla prima parte della loro teoria, quindi prevenire un probabile quarto omicidio. Stando alle loro deduzioni, mancavano solo quattro giorni al fatidico “settimo giorno” dopo il delitto di Evans. Si misero davanti la mappa di Berlino su cui avevano segnato i luoghi del ritrovamento dei tre cadaveri e aggiunsero i punti ricavati grazie al disegno della stella di David sopra il foglietto rinvenuto addosso a Evans. Dente lo notò subito, ma fu il suo collega che lo disse: – In totale ci sono altri tre punti in cui aspettarsi un cadavere e, complessivamente, 6 punti… come le persone in quella foto!

Ancora una volta, il memoriale e le foto degli ebrei della guerra tornarono protagonisti nella mente dei due poliziotti ma, ancora una volta, i due non riuscivano a vedere il nesso con gli omicidi.

In barba a tutti i cliché sui poliziotti, Dente non fumava e non beveva. Il suo collega, invece, fumava e aveva sul tavolo il suo pacchetto di sigarette e un accendino. Dente prese l’accendino e, nervosamente, cominciò ad accenderlo e spegnerlo. Guardava la fiammella che si materializzava davanti ai suoi occhi per poi svanire al suo soffio. Fissava quella fiamma come per tentare di accendere la sua mente… si sforzava di essere acuto e cercava invano una fiammata di intelligenza improvvisa che illuminasse quel puzzle e gli facesse ritrovare il tassello mancante tra i mille sparsi sul tavolo. Si sentì osservato da Franz che, in realtà, si stava spazientendo nel vedere il suo povero accendino torturato in quel modo. Dente capì il messaggio, si scusò e si alzò dirigendosi verso il bottiglione dell’acqua. Prese un bicchiere di plastica, lo riempì e quando stava per inghiottire il sorso d’acqua, tossendo, lo sputò a terra esclamando: - Che idiota!

Si scusò di nuovo, stavolta per il disastro idrico, e si avvicinò al collega. Gli occhi cominciarono a brillargli in modo strano. Se le prime tre vittime erano discendenti di tre personaggi di quella foto, anche le prossime possibili vittime dovevano avere le stesse caratteristiche. Si chinò verso il tavolo rovistando in modo convulso tra le carte. Infine trovò la fotografia. La prese e battendo con l’indice sopra una delle figure ritratte, esclamò: – Dobbiamo trovare i discendenti di queste persone!

Fischer e Dente trascorsero quasi tutto il giorno tra computer, telefonate e carte varie alla ricerca delle discendenze delle tre persone ritratte nella foto che ancora non erano state collegate a un cadavere. Il memoriale fu la prima cosa che usarono. Lì trovarono nomi e cognomi delle persone ritratte nella foto e da lì iniziarono le loro ricerche. Alle cinque del pomeriggio poterono fare un quadro di discendenza per ciascuna delle tre persone.

Guardarono la lavagna di plexiglass su cui, man mano, avevano scritto le loro scoperte e avevano attaccato qualche foto finendo per costruire una sorta di ragnatela.

Dente sospirò sopraffatto dalla grandezza della “ragnatela”; il suo collega si fece cadere di mano il pennarello con cui aveva tracciato l’ultimo segno e scritto l’ultimo nome. Le persone da controllare erano troppe. Avrebbero dovuto sorvegliare almeno 12 persone e non avevano abbastanza uomini per farlo contemporaneamente e per quattro giorni di fila. Rimasero a fissare quei nomi, rivedendo mentalmente le possibili soluzioni del problema che si erano offerti a vicenda. C’era una sola certezza in quello schema: dalla discendenza diretta di una delle tre persone ritratte si arrivava a un solo nome. In base alla teoria elaborata fino a quel momento quella era una vittima designata certa.

La mattina dopo, Dente e il suo collega cercarono di mettersi subito in contatto con “il designato”, come avevano battezzato il discendente unico. Era una donna, Eliza Mannheim. Al telefono di casa non rispondeva. Passarono alcune ore nel tentativo di contattarla, poi con i mezzi a disposizione della polizia, riuscirono ad avere il numero di cellulare. Finalmente, Eliza rispose. Era in viaggio di ritorno dall’Australia. Si trovava a Singapore e sarebbe arrivata a Berlino solo l’indomani.

L’indomani mattina, Dente e il collega partirono diretti all’aeroporto in largo anticipo rispetto all’orario di arrivo dell’aereo da Singapore. Lasciarono l’auto della polizia nel parcheggio riservato e si diressero con passo veloce verso la zona degli arrivi.

L’aereo fu puntuale. La signora Mannheim era stata avvisata che sarebbe stata accolta dai due poliziotti, perciò, appena ritirate le valige, si diresse verso l’uscita. Individuò chi la attendeva grazie al cartello su cui risaltavano a stampatello il suo nome e cognome.

Durante il tragitto in macchina, la sig.ra Mannheim fu messa al corrente del caso. Mancavano solo tre giorni e si doveva fare in fretta per contattare anche gli altri eredi in possibile pericolo. Dente le chiese del memoriale e se aveva avuto contatti con qualcuna delle vittime.

La signora Mannheim era una donna d’affari, era il direttore tecnico e amministrativo di una grossa azienda da quasi 12 anni e spesso si recava fuori sede per lavoro, come nel caso attuale, per cui non sempre era reperibile a casa. Però, il mese precedente, tornando da uno dei suoi viaggi, aveva trovato la segreteria telefonica di casa intasata da una decina di messaggi da parte di un certo Evans che le chiedeva con insistenza di contattarla al più presto. Contattatolo, il sig. Evans le chiese di vedersi in un locale per spiegarle di persona il motivo della sua richiesta. A quel punto, Dente le mostrò la foto di Dan Evans. La sig.ra Mannheim confermò che si trattava proprio di lui. Le dispiaceva molto per la fine che aveva fatto. Lo ricordava gentile ed educato e mai avrebbe pensato che sarebbe diventato vittima di un omicidio. E poi, per quale motivo? I due poliziotti non risposero, ma chiesero il racconto di quell’incontro. Evans, mostrandole il memoriale, le aveva raccontato i fatti che vi erano descritti. Le spiegò che stava contattando tutti gli eredi degli amici ritratti in una foto che le aveva mostrato.

Una donna in quella foto era la nonna di Evans. Ritratto insieme agli altri c’era anche il parente della signora Mannheim.

Giunti alla centrale di polizia, i due poliziotti mostrarono alla sig.ra Mannheim il memoriale del sig. Evans. Lei lo prese e cominciò a sfogliarlo. Raccontò che Evans era molto scosso e arrabbiato nello stesso tempo. Non riusciva a darsi pace. – Perché succedono ancora cose come questa? – Era una domanda che le aveva rivolto più volte durante il loro colloquio. Poi, ricordò la sig.ra Mannheim, Evans aveva preso un ritaglio di giornale e glielo aveva mostrato. Era la cronaca della strage di Utoya e Oslo di 12 anni prima. Quasi piangendo, Evans le aveva mostrato la foto di quell’assassino mentre faceva il saluto nazista. Le disse che dovevano fare qualcosa per denunciare la verità. Troppa gente è tentata di non credere al genocidio e troppo facilmente vuole dimenticare o, peggio ancora, fare revisionismo. Nel frattempo, il seme dell’odio cresce e molti innocenti muoiono ancora. Evans, allora, le aveva esposto la sua idea: voleva contattare le discendenti delle due donne che erano state la causa dello sterminio di Rumbula. Aveva scoperto che si trattava di due donne famose. Una di loro aveva davanti una brillante carriera politica, impegnata sul fronte della giustizia e della salvaguardia dell’ambiente; l’altra era presidente di una grande azienda di prodotti no ogm e biologici.

– Evans mi disse che due donne simili dovevano per forza avere a cuore i problemi dell’umanità e quindi avrebbero condiviso la sua idea.

Dente forzò il racconto della sig.ra Mannheim. Evans, allora, le aveva mostrato un foglio. Era una lettera indirizzata alle due donne in questione. In quella lettera si chiedeva di agire pubblicamente a favore dell’uguaglianza razziale e di genere. Evans voleva che si denunciassero gli eventi dello sterminio di Rumbula e ciò che, secondo lui, ne era stata la causa. In poche parole, voleva che proprio le due donne, discendenti dalle due traditrici, mostrassero a tutti l’orrore dell’odio tra i simili. Diceva che sarebbe stato un gesto di grande impatto che avrebbe anche potuto dare una spinta positiva alle loro carriere, specialmente se avessero accettato di istituire un fondo di aiuto per tutti i perseguitati nel mondo. La sig.ra Mannheim disse che Evans aveva scritto la lettera a nome di tutti i discendenti delle persone ritratte nella foto e che li stava contattando a uno a uno per fargliela firmare dopo aver ottenuto il loro consenso. La signora Mannheim aveva firmato.

Dente e il suo collega si guardarono con aria stupita e preoccupata.

Dopo aver illustrato la loro teoria, i due poliziotti congedarono la signora Mannheim avvisandola che sarebbe tornata a casa con due uomini di scorta.

Rimasti soli, Dente si rivolse al suo collega perplesso: – Hai qualche idea?

Avevano davanti le pagine del verbale della discussione appena conclusa.