Nonna dai dai che comincia …

Era una sera come le altre, fuori una tramontana gelida sferzava senza pietà il limone e l’arancio ma lei non se ne preoccupava. Erano resistenti, ce l’avrebbero fatta anche quest’anno. Temeva invece un po’ per le bocche di leone che avevano reso il suo giardino uno tra i più belli del paese, e per le rose, non tanto per la centifolia che ormai da anni resisteva ai rigori dell’inverno tenacemente dando prova di straordinaria forza quanto per la madame che ancora era troppo piccola.

Un brivido di freddo la percorse tutta e lì si accorse che il paraspifferi non era messo a debito e mentre si piegava un po’ a fatica a sistemarlo brontolava contro la tramontana che chissà chi gliel’aveva mandata così forte stasera e contro il destino che la costringeva a combattere da sola contro l’inverno, contro la vita, contro tutto.

Nonna dai dai che comincia …

Mentre spegneva con l’acqua l’ultimo tizzone si ricordò di quando in quella casa lei era regina, Quanto era durato? Poco. Troppo poco. Troppo presto se n’era andato Giovanni e la felicità di quelle sere sgranocchiando ceci tostati al fuoco. Rimanere vedova a 27 anni e con due bocche da sfamare non era stato semplice. Non fosse stato per lo zio Serafino chissà che fine avrebbe fatto. Certo che pure la vita in quella casa …

Lo zio era ricco. Quanti in paese potevano vantarsi di possedere un cavallo come il suo? Come si chiamava? Ah sì … Camillo. Ma quanto mangiava Camillo alla raccolta del grano? E come la combinava quella stalla? Lei non si era mai occupata prima di un cavallo e se non fosse stato che il destino l’aveva costretta a questa condizione di vedovanza … forse anche stasera avrebbe sgranocchiato ceci abbrustoliti col suo Giovanni.

Nonna dai dai che comincia …

Lo zio Serafino aveva un paramento di casa (1), sette stanze grandi più la stalla di Camillo che piccola non era. Il bagno all’esterno era una grande stanza con una tinozza al centro, sostenuta da quattro zampe di leone, nell’ angolo sinistro un portacatino a tre piani che sosteneva in alto un catino tutto smaltato di bianco col bordo dorato e nel centro un grande mazzo di rose color arancio, al secondo piano su un cerchio più piccolo il portasapone con una sola rosellina e più giù una brocca decorata con lo stesso motivo floreale del catino. Il catino si poteva usare la domenica e nei giorni di festa. Nell’angolo destro c’era poi l’orinale che non si doveva usare, era solo per bellezza.

Nonna dai dai che comincia …

Quanto l’avevano criticata per essere andata a stare dallo zio Serafino. Lo sapeva lei quello che i parenti della moglie dello zio, la zia Emilia pace all’anima sua, andavano dicendo sul suo conto. E quando lo zio a Natale e a Pasqua gli riempiva la casa di ogni ben di Dio ché tutto si può dire di lui tranne che non fosse generoso, invece di rallegrarsi del dono, pensavano al nostro granaio e alla dispensa sempre piena e alla madia in cucina e a lei che indebitamente occupava le stanze di quel gran paramento di casa.

1. Paramento di casa: voce dialettale indicante il complesso dei vani e delle dipendenze di un'abitazione

Nonna dai dai che comincia …

Lo zio Serafino era proprio una pasta d’uomo perché sennò gliene avrebbe cantate due a quei serpenti al matrimonio di Teresina. La zia Ersilia lo capì subito l’inghippo quando la Teresina non fece ritorno a casa dal ballo di fine vendemmia. Li aveva notati lei stessa sotto la pergola i due colombini che si lanciavano sguardi di fuoco. Per ben tre volte avevano ballato stretti stretti e a nulla erano valsi i suoi sguardi stizziti e quelle due parole di minaccia che tra un ballo e l’altro l’Ersilia aveva sussurrato alla Teresina: A casa prima o poi devi tornare e lì facciamo i conti … E quando a fine festa la Teresina non si trovava più e il suo nome fu gridato a gran voce nella notte l’Ersilia lo capì subito l’inghippo ché scema non era e fu lei stessa a interrompere le ricerche dicendo a un certo punto Ora che ci penso … mi sa che la Teresina me l’ha detto che se ne stava andando a casa che non si sentiva tanto bene. Tranquilli tranquilli che la Teresina a casa se n’è andata. A casa, mentre contava le ore che dalla notte portavano al giorno, si tirò fuori dalla ozza (1) i soldi fatti col tabacco e i pomodori. L’abito bianco se lo poteva scordare la Teresina e d’altra parte non se lo meritava proprio quell’ingrata. Una chicchera di caffè e due dolcetti alle mandorle si poteva permettere. Che vergogna! A meno che lo zio Serafino ….

Nonna dai dai che comincia …

Quella mattina si alzarono presto. Non era Natale, né Pasqua, né la festa della Madonna ma era pur sempre festa il matrimonio di Teresina. Venne scaldata l’acqua al fuoco e fu tutto un andare e venire dal bagno. Prima si preparò lo zio. Lavato e profumato, con i lunghi baffoni all’insù, uscì di casa per primo, impettito e tutto orgoglioso del suo nuovo costume di fustagno. Nella piazza del paese non avrebbe avuto pari quel giorno. Poi lei preparò le figliole con quegli abitini bianchi tutti trinati. Le damigelle erano pronte. Sistemate sul divano del salotto buono, furono minacciate di essere picchiate a sangue se solo si fossero mosse di un millimetro nel mentre che lei si preparava. Due bamboline, belle come il sole. Lavata e profumata di lavanda indossò a sua volta il vestito del matrimonio, un abito color pervinca semplice ma bello. Quando fu l’ora lei, lo zio Serafino e le bamboline uscirono di casa e lentamente presero per la Chiesa. Per una volta si risentì regina entrando in Chiesa con lo sguardo del mondo appuntato addosso. Erano al secondo banco, subito dietro al banco dell’Ersilia che era livida come al solito e forse anche un po’ di più. Appena si furono seduti, si girò lanciando un mezzo sorriso e poi rivoltasi a Tommasino, suo marito, le scappò a mezza voce. Ecco, è arrivata la vedova allegra … E la sentirono distintamente sia lei sia lo zio Serafino, la carogna.

Nonna dai dai che comincia …

La cerimonia fu breve ché anche il prete la pensava come la zia Ersilia e proprio non se lo meritava la Teresina un matrimonio con i sacri crismi. All’uscita dalla Chiesa gli sposi salirono sul biroccio tutto inghirlandato per l’occasione trainato da Camillo, lucido lucido come non si era mai visto da anni dopo la strigliata vigorosa che gli aveva dato lei all’alba e tutto per la figlia di quell’ingrata vipera figlia di buona donna dell’Ersilia. Se non fosse stato per lo zio e per lei, col cavolo che avrebbe avuto un biroccio così la Teresina. E mentre, ancora presa da tutta questa rabbia trattenuta a stento, pensava queste cose, lo sguardo le cadde sulla Teresina e il suo sposo e si rabbonì immantinente pensando ai tempi in cui anche lei aveva uno sposo con cui mangiava ceci tostati al fuoco nelle lunghe sere d’inverno quando la tramontana soffiava forte sulla centifolia e le bocche di leone del giardino più bello del paese.

Nonna dai dai che comincia …

Ozza: contenitore per conservare il vino..

Nonna dai dai che comincia …

Giovanni se l’era portato via la malaria nel giro di tre giorni durante i quali la ghiacciaia venne aperta e richiusa a intervalli regolari di tre o quattro ore per preparare gli impacchi contro la febbre e spegnere quella luce delirante nei suoi occhi. Le bambine furono affidate a una vicina, per tema del contagio. Nonostante le rassicurazioni congiunte del medico e del cerusico, lei non se l’era sentita di correre alcun rischio e poi con Giovanni in quello stato come faceva a prendersi cura di loro? Al terzo giorno lui si addormentò e non ci fu più modo di svegliarlo. Era di sera tardi quando finì l’andirivieni tra la ghiacciaia e la camera da letto. Lei si sedette e pianse. Passò in rivista gli anni passati con lui, il loro primo incontro, il matrimonio, i giri in bicicletta dei primi tempi, prima delle bambine, la nascita della sua primogenita con la casa tutta in fermento e la levatrice che non si trovava, le loro serate al fuoco d’inverno e le partite a carte che lei dove doveva sempre perdere se non voleva vederlo col broncio per ore … Poi lo spogliò tutto, lo lavò centimetro per centimetro e lo rivestì a festa con l’abito buono, quello del matrimonio ché lui ci teneva a fare bella figura. Solo allora chiamò una vicina e la casa fu invasa …

Nonna dai dai che comincia …

Lo zio Serafino se la mise in casa, un po’ per affetto un po’ per convenienza, ché da tre anni aveva perso l’Emilia e quel gran paramento di casa senza una donna non era più la stessa, aveva perso tutti i suoi profumi e le sue voci. Bambini non ce ne erano mai stati lì, e le due piccole avrebbero portato un poco di allegria. Clara poi era una ragazza giovane e forte e l’avrebbe saputa portare avanti una casa così mentre lui si occupava della terra. I primi giorni lei vagava di stanza in stanza come si vaga in un territorio sconosciuto poi man mano la geometria di questa nuova casa smise di esserle estranea finché seppe orientarsi anche ad occhi chiusi tra una suppellettile e l’altra quasi come se ci fosse nata lei lì. Furono aperte tutte le casse dell’Emilia e tirati fuori i tesori nascosti: lenzuola ricamate, tovaglie a punto croce, asciugamani con le trine all’uncinetto e a chiacchierino. Non si può dire che l’Emilia fosse entrata a mani nude nella casa dello zio! La roba fu lavata a più riprese per cancellare l’acre tanfo della naftalina e nel giro di due settimane la casa tornò agli antichi splendori.

Nonna dai dai che comincia …

I parenti dell’Emilia fecero buon viso a cattivo gioco, ché lo zio Serafino non era uomo che si faceva discutere, ma guardavano con crescente sospetto alla sua presenza per casa. L’Ersilia soprattutto non lo poteva proprio sopportare che le cose di sua sorella, specie la dote, fosse finita in mani estranee. Quelle lenzuola, tovaglie e asciugamani che sventolavano sui fili delle terrazze erano un colpo al cuore per lei. Quella era roba loro! Alla Teresina doveva andare ché chi era quella Clara per loro? Non era mica sangue del loro sangue! E man mano che la Clara apriva le casse, lei illividiva. E man mano che la Clara stendeva la biancheria il suo livore aumentava. E poi che vedova era questa Clara che a distanza di soli tre mesi dal funerale del marito, si occupava di trine e merletti invece di lucidare la lapide del marito. E si poteva chiamare dolore quello di questa Clara? Eh ma Dio vede e provvede … poi un giorno in chiesa che si stava recitando il rosario tra un’avemaria e un paternostro le scappò detto a mezza voce alla sua vicina di banco che era amica sua intima: Io dico che tra lo zio Serafino e questa Clara qualcosa c’è … le cose non sono chiare. L’ho visto l’altro giorno alla fontana lo Zio Serafino e quando mai per l’Emilia è andato alla fontana! Povera sorella mia, che me l’ha fatta morire … me l’ha fatta. No, no … non sono chiare le cose tra quei due … eh, ma Dio vede e provvede sai … e se c’è una giustizia divina …

Nonna dai dai che comincia …

Lo zio Serafino aveva lavorato tutta la vita alacremente e se adesso si ritrovava quel gran paramento di casa, il granaio sempre pieno, il cavallo Camillo e tutta quella terra era solo merito suo e non doveva ringraziare nessuno. E quando la domenica dedicava un’oretta buona a insaponarsi nella sua bella tinozza, tagliarsi i baffi e impomatarsi tutto prima del suo giro domenicale in piazza non mancava di inorgoglirsi tutto per questa sua sala da bagno che non aveva rivali in paese. Neanche il sindaco ce l’aveva una vasca così con i piedi a zampa di leone, ci scommetteva la testa che neanche il sindaco, né il medico condotto e nemmanco il cerusico potevano vantarsi di avere un bagno così. Da quando poi era arrivata la Clara e le bambine quel gran paramento di casa una reggia era diventata, una reggia di cui lui era il re. Così pensava ogni domenica mattina insaponandosi da capo a piè. Poi un giorno gli successe di non sentirsi tanto bene e, preso da spavento, chiamò la Clara a gran voce e la pregò di chiamare il notaro che lui doveva fare un atto di donazione prima che fosse troppo tardi … La Clara che aveva trent’anni meno di lui e il cervello veloce veloce lo capì subito il malessere dello zio e tentò di ridargli fiducia rassicurandolo che sarebbe ancora vissuto a lungo se solo si fosse tenuto lontano dalle ozze e magari anche dal gioco d’azzardo che tanto bene non gli faceva. Ma lui insisteva che no, il notaro doveva chiamare… doveva sistemare certe cose perché lei non lo sapeva ma c’era certa gente cattiva in paese che stava aspettando solo la sua morte e lui non poteva lasciarla da sola con due bambine a lottare contro questo mondo pieno d’invidia. La Clara sorrise pensando alla Ersilia che l’invidia ce l’aveva disegnata addosso, quella, e non riusciva proprio a dissimularla in nessun modo. Il notaro comunque non lo chiamò e dopo tre ore lo zio sgambettava arzillo come il giorno prima dopo tutta l’acqua che la Clara gli fece bere ed i tuorli di tre uova freschissime di giornata che lo riportarono in vita e gli fecero dimenticare il notaro.

Nonna dai dai che comincia …

La Clara si era impegnata tanto a riportare in vita la casa dello zio e qualche momento felice l’aveva pure avuto in questa nuova vita senza Giovanni. Dopo tre anni però cominciò a dimagrire visibilmente, le si incavarono le gote che non sembrava neanche più lei e due o tre volte lo zio, tornando a casa, l’aveva trovata con le persiane tutte chiuse distesa a letto con la faccia bianca bianca che sembrava una morticina. Il medico condotto, che a giorni alterni si recava a visitarla, lasciava sempre la stanza della Clara allargando le braccia e dicendo: Melanconia, Serafì, la Clara ha la melanconia. Falle prendere questo decotto due volte al giorno per stuzzicare l’appetito e apri le finestre anche se lei non vuole. La tiriamo un po’ su e poi vediamo … aria fresca ci vuole Serafì, portala in campagna o al mare, questa ragazza deve uscire da qui. Aria fresca e passeggiate.

Intanto la casa, da reggia che era, ricominciava ad andare in malora. Le bambine correvano di qua e di là che era impossibile fermarle. Due diavoli. Lo zio Serafino prese una ragazza a servizio che era brava e buona ma non tanto sveglia poveretta e la Clara non dava segni di ripresa. Giorno dopo giorno cominciava a convincersi che era stata l’invidia a colpirla la Clara e forse qualcuno le aveva fatto il malocchio. Ecco cos’era … il malocchio. E come aveva fatto a non pensarci prima! E chi poteva essere stato … la Ersilia, sicuramente e tutta quella stirpe di serpenti dei parenti dell’Emilia, mangiatori di pane a tradimento. Eh già … dannazione. Malocchio… Qua due potevano essere le soluzioni: o la masciara(1) ché qua di fascinazione si trattava o i suonatori di San Paolo …

Masciara: maga, fattucchiera

Nonna dai dai che comincia …

Quando la Clara venne a sapere che lo zio Serafino aveva mandato a chiamare la masciara di Soleto perché la liberasse dal malocchio che l’aveva fascinata prese a tremare tutta di paura perché si ricordò di quando sotto all’albero del noce del fondo (1) di suo padre paraìsu (2) in una notte di luna piena, che sembrava una di quelle grandi pagnotte di semola tenera di San Giuseppe, cinque donne furono viste che si ungevano tutte con un unguento strano prima di darsi a un ballo scatenato attorno all’albero. Si dice che per tre ore intere girarono intorno al noce prima che la notte si abbandonasse al giorno. Quando la voce di questo bel raduno giunse alle orecchie del bonanima di suo padre un rametto di Erba di San Giovanni (3) e uno di rosmarino furono sistemati all’ingresso di casa sotto a un piccolo tappetino, una scopa di saggìna capovolta fu messa all’uscio di casa e suo padre cominciò a girare con quella noce intera sotto alla camicia che gli lasciarono pure nella bara quando se ne andò sette anni dopo. No, no … la masciara no. E dopo tante e ripetute preghiere che la Clara gli fece piangendo fino a strapparsi i capelli lo zio Serafino mandò l’ambasciata alla masciara di Soleto di non venire più ché non ce n’era più bisogno e la stessa scena si ripresentò quando lo zio Serafino accennò ai Suonatori di San Paolo. Quelli li aveva visti lei stessa all’opera quando suonarono per liberare l’Ernestina da tutto quel furore che l’aveva presa l’anno scorso dopo che la taranta l’aveva pizzicata. No, zio Serafino per favore no. I suonatori di San Paolo solo alla festa di Galatina li voglio vedere ma a casa no … No, zio Serafino, se è vero che mi vuoi bene i suonatori no … E fu così che lo zio Serafino rinunciò anche ai suonatori.

Nonna dai dai che comincia …

Un giorno che lo zio Serafino la obbligò a uscire di casa per prendere un po’ d’aria buona, a bordo del biroccio trainato da Camillo, ché lei non aveva nemmanco la forza di camminare oramai tanto si era fatta macilenta e gracile, passarono dalla strada sua. Lei volse il viso dall’altra parte quando furono all’altezza della casa, non la voleva neanche vedere quella casa caduta in disgrazia ma con la coda dell’occhio, tuttavia, dalla parte bassa del muro bianco di calce che ne recingeva il giardino, vide spuntare la centifolia e, presa da nostalgia delle sue piante, chiese allo zio Serafino se si potevano fermare un attimo a casa sua. Lo zio Serafino fu colto di sorpresa ché da quando la Clara era venuta a stare da lui non aveva voluto neanche parlarne di quella casa e si era sempre rifiutata di andarci. E che fare adesso? Questa richiesta era segno buono o cattivo? E se poi la Clara non avesse retto? Nel giro di pochi secondi, preso tra due cuori (4), lo zio Serafino tentennò. Poi fece fermare il biroccio. Entrata in casa Clara impallidì tutto d’un colpo ma, mentre lo zio Serafino cominciava a pensare che forse era stata una cattiva idea fermarsi lì quella mattina, le gote di Clara cominciarono a riprendere colore man mano che i suoi occhi si posavano su ogni singolo oggetto della casa, la tenda di pizzo regalo della nonna, le porcellane della credenza, la fruttiera che la Emilia le aveva regalato al matrimonio, la stampa con le damine attorno alla fontana, la cassapanca della mamma, la macchina da cucire e poi il ferro da stiro sulla mensola del caminetto, ricordi di un’epoca felice, di quando lei era regina in quella casa. Poi aprì la porta che dalla cucina dava nel giardino e lì si fermò. La geometria ordinata del suo giardino di un tempo aveva lasciato posto a un asimmetrico intrico selvaggio e disordinato di rami, di foglie, di fiori vari che piuttosto che imbruttire il posto aveva dato una bellezza tutta sua e diversa a quello che era il giardino più bello del paese. Le gote di Clara erano intanto diventate di un colore rosso acceso e una nuova luce le illuminava lo sguardo. Lo zio Serafino cominciò a pensare che forse era stata una buona idea passare da lì quella mattina.

Nonna dai dai che comincia …

Passarono quattro o cinque giorni in cui lo zio Serafino spiava la Clara con attenzione in cerca di segni che lo aiutassero a capire che cosa doveva fare con questa ragazza, finché una mattina lo zio le si rivolse con tali parole: Clara, stavo pensando prima che non manca tanto al tuo compleanno e quest’anno vorrei farti un bel regalo … e se ti intestassi questa casa, che ne diresti? La Clara sorrise e scuotendo la testa disse di no. E se, invece, ti lasciassi le terre? Ancora una volta la Clara sorrise facendo di no. Figlia mia, continuò lo zio, io questo ho e te lo vorrei dare. Ma un desiderio non ce l’hai? Una cosa che io ti possa regalare e … La Clara ci pensò sopra appena un po’ prima di dire tutta seria: Sì, zio. Io a casa mia me ne voglio tornare e al mio giardino, tu sei stato tanto buono con me e pure con le bambine in questi anni ed io te ne sono grata ma … ora a casa voglio tornare. Lo zio si fece quasi di pietra ché questa proprio non se l’aspettava, ma se la Clara questo desiderava … e di che cosa vivrai? Io ti aiuto, lo sai, che qua ozze e granai sono sempre pieni, finché ci sono ti aiuto io ma poi? Io non sono mica eterno, sai? La Clara ci pensò un istante e poi disse Zio, e se mi regalassi un bel telaio come quello della Nunzia? Qua in paese ragazze da maritare ce ne sono tante e con i corredi … chissà! Magari ce la posso fare … E fu così che in capo a una settimana Clara, una bambina nella mano destra e una nella mano sinistra, se ne tornò a casa sua con qualche anno in più sulle spalle ma il passo più leggero, come il suo cuore. Lo zio Serafino, la sorvegliò a vista per qualche settimana e quando gli fu chiaro che ormai la Clara stava bene e sì, ce la poteva fare, ce la poteva fare anche senza di lui piano piano la lasciò andare.

Nonna dai dai che comincia …

Tra orditi e trame su un piccolo telaio a 6 licci, la spoletta della Clara volò da mane a sera, confezionando i più bei sogni delle ragazze del paese. E tanto era lo strepito del telaio che l’intero quartiere sapeva le sue ore di sonno e di veglia. Che gran lavoratrice quella Clara, diceva ora la Ersilia in chiesa, l’ho sempre detto io che era una gran donna, onesta e seria. Adesso che si era ripresa la roba che era della famiglia sua, sangue del suo sangue, aveva perso un po’ del suo livore, ma non tutto, la Ersilia. Eh già … non tutto. Tutto aveva ritrovato a casa dello zio Serafino la notte che il biroccio si era schiantato e lo zio Serafino nella caduta aveva dovuto salutare questo mondo per l’ultima volta, aveva ritrovato tutto lenzuola, asciugamani, la imbottita rossa, le lenzuola di lino e quelle di lana ma quella bella radio di radica di noce dello zio Serafino, quella no. Alla Clara era andata e non era mica tanto giusto questo … sarebbe stata così bene quella radio a casa della sua Teresina!

Nonna dai dai che comincia …

Vengo, vengo …

Ce ne hai messo ad arrivare! Non posso fare a meno di dirle quando arriva e lei sorride. Quanto è impaziente questa nipotina quando si tratta delle storie. Chissà da chi l’avrà ereditata questa passione! Così pensa la Clara mentre si sistema dalla parte destra del lettone. La radio è sul comodino di sinistra e sono io l’addetta all’accensione, regolazione del volume e spegnimento a fine puntata, ché la nonna ormai si addormenta dopo due o tre minuti e nei sogni se ne va a mangiare ceci tostati al fuoco col suo Giovanni e se non ci fossi io …

Oggi comincia il nuovo radiodramma: Paese d’ombre. Chissà come sarà questa nuova storia dal titolo così misterioso. Shh!!!

Il bambino bussò al cancelletto di legno, ch'era in tutto simile a quello della casa di sua madre nel vicolo del Carrubo, e aspettò in silenzio; dopo un poco la voce potente e rauca di Don Francesco Fulgheri si fece udire dall'interno della casa: "Chi è?

"Sono io!" strillò Angelo con la sua vocetta, la sua voce da chierichetto, come diceva Don Francesco per farlo arrabbiare. Senza attendere oltre, il ragazzo spinse il cancello, che si aprì con un lungo gemito.